Nasconderci che ci troviamo nella fase finale di un’accelerazione entropica risulta sempre più difficile, ma potremmo anche tranquillamente dire impossibile: le evidenze sono davvero troppe. Il politicamente corretto e la cultura woke alla fine non sono altro che una corsa all’indistinto, alla mescolanza, all’impossibilità di cogliere la realtà con discernimento, una realtà che perde con la sua varietà la sua ricchezza. L’impoverimento non è mai dapprima un fatto quantitativo, inizia sempre con la diminuzione della qualità.
Se il nostro unico esercizio è contar quattrini e soppesare merce, difficilmente ci potremo accorgere per tempo che meglio sarebbe stato dedicarsi a vivere in un mondo capace di apprezzare il bello e il buono, anche perché il bello e il buono potrebbero scomparire, e prima ancora potremmo noi aver perso la capacità di riconoscerli.
Un pensiero timoroso di esprimere il proprio vigore non è che un inane sussulto che nemmeno giustifica la propria espressione. Ma se le nostre parole sbiadiscono fino a dissolversi così sarà inevitabilmente di noi, non molto dopo.
Siamo caduti nel grande equivoco di scambiare il riconoscimento della differenza per prevaricazione e la dimensione naturale per arbitrio.
Tutto è oggetto di discussione tranne la progressiva preclusione ai nostri figli di un futuro. Figli che malgrado ogni evidenza diciamo di amare. Sì, ma a distanza, purché non ci rompano i coglioni.
Quanta malafede c’è nel fingere stupore alla notizia che fanno i compiti con Chat Gpt o che tra i tanti loro sempre più fugaci interessi lo studio non figura?
A guidare i nostri comportamenti è venuto a mancare un progetto, una visione del mondo, una morale: il sistema economico non regge, e quella stessa economia del consumo che ci siamo dati per bussola fino al secolo scorso ora è impazzita e la barca è alla deriva.
Non sarà nulla di collettivo a salvarci, a scongiurare l’impatto contro gli scogli. Non sarà la politica o, per meglio dire, non sarà la politica fatta da gregari. Saranno individui più determinati e attenti e coraggiosi ad indicarci la strada, come sempre è stato nei momenti di barbarie. Solo dopo che costoro avranno dato l’esempio, costoro che ancora, malgrado tutto, hanno conservato il proprio insopprimibile anelito verso la libertà, coloro che Jünger chiamava “i lupi”, la politica potrà tornare ad accampare il suo primato. Quella politica che Platone chiamava “arte regale”, capace non solo di conservare ma di creare valore, la sola cosa che possa evitare alla democrazia di volgersi in scellerata sventatezza.