Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Sanremo 2025: un Festival prigioniero delle logiche discografiche?

L’edizione 2025 del Festival di Sanremo lascia dietro di sé una scia di riflessioni, polemiche e spunti di discussione. Da una parte, la solita retorica sulla kermesse come specchio del Paese, dall’altra, dati e dinamiche che raccontano una realtà ben diversa: la musica italiana, almeno quella mainstream, sembra sempre più chiusa in un recinto dorato dove poche etichette e pochi autori dettano le regole del gioco.

## *Un festival sempre meno vario? Gli stessi autori ovunque*

Un dato è evidente: su 29 canzoni in gara, il numero di autori che si ripetono più volte è impressionante. Federica Abbate ha firmato ben 7 brani, Davide Simonetta 5, Jacopo Ettorre, Davide Petrella e Jacopo Lazzarin 4 ciascuno, Paolo Antonacci e Blanco 3. Di questi, 5 su 7 sono sotto Universal Music Publishing.

Questo significa che una manciata di firme domina la scrittura del Festival, riducendo la diversità stilistica e creativa. Si tratta di una semplice coincidenza o di un sistema chiuso, dove le major impongono un modello preconfezionato per massimizzare gli introiti editoriali? Il sospetto è lecito.

A peggiorare il quadro c’è il numero spropositato di autori per ogni singola canzone: molte delle canzoni in gara vantano 5 o 6 firme, a volte di più. Ma davvero servono così tante persone per scrivere una canzone pop? O è piuttosto un gioco di etichette e case editrici che spartiscono i diritti per questioni di business? La seconda ipotesi è decisamente più plausibile.

## *La grande assenza: il sociale e la politica*

Un altro aspetto che ha reso questo Festival particolarmente asettico è l’assenza totale di riferimenti a temi sociali e politici. In un periodo storico segnato da conflitti, crisi e tensioni globali, Sanremo ha scelto di voltarsi dall’altra parte, rifugiandosi in un mondo fatto di sentimenti privati e tormenti amorosi.

Un cambio di rotta evidente rispetto al passato: pensiamo a Benigni che nel ‘99 urlava “Woitilaccio” dal palco dell’Ariston, o alle canzoni di denuncia che, seppur sporadicamente, hanno trovato spazio nel corso delle edizioni. Stavolta, niente. Nemmeno un accenno alle guerre in corso, ai nuovi scenari globali, ai problemi economici. Sanremo è diventato un festival anestetizzato, lontano da ogni tensione sociale.

## *Le esibizioni: chi ha brillato e chi ha deluso*

Musicalmente parlando, l’edizione 2025 ha regalato alcune belle sorprese e molte conferme, nel bene e nel male.

*Tra gli artisti che mi hanno convinto di più:*

*Olly:* una ballata sincera, ben scritta e interpretata con intensità. Ricorda per sensibilità melodica Bonocore, con un testo romantico che non cade nel banale.
*Coma_Cose:* chi ascolta il loro sound non può non amarli. Non inventano nulla di nuovo, ma hanno un’identità chiara e coerente, e questo è già tanto in un mare di brani fotocopia.
*Brunori Sas:* l’ultimo baluardo del cantautorato italiano di qualità. Se la fiaccola del genere resiste, è anche merito di artisti come lui.
*Achille Lauro:* elegantissimo, un brano struggente con un sapore rétro che pizzica corde emotive profonde. In un contesto sempre più standardizzato, la sua presenza è un tocco di autenticità.

*E quelli che invece mi hanno lasciato perplesso o totalmente deluso:*

*Modà:* canzone melensa, banale, con un testo prevedibile. Ma il peggio è la camicia nera lucida infilata nei pantaloni. Un fashion crime che merita una menzione speciale.
*Massimo Ranieri:* il solito pezzo senza tempo, che potrebbe essere stato scritto negli anni ‘80 o ‘90. A questo si aggiunge la tinta castorino moribondo. No, proprio no.
*Francesco Gabbani:* troppa gestualità, troppe smorfie, troppe citazioni di sé stesso. Un brano senza spunti, che sembra una versione meno brillante delle sue hit passate.
*Rocco Hunt:* la solita narrazione napoletana un po’ piagnona e rimacinata. Se voglio pensare a Napoli, preferisco farlo con Parthenope di Sorrentino.

## *Sanremo e il sistema musica: mercato drogato dagli algoritmi?*

C’è un’altra questione che il Festival porta alla luce: la musica oggi non è più solo una questione di talento o ispirazione. Il mercato è ormai drogato da logiche e algoritmi che favoriscono alcuni artisti a discapito di altri, che stabiliscono chi deve essere ascoltato e chi deve rimanere nell’ombra.

Le radio, ormai sempre meno ascoltate, sono parte di questo sistema: molti network, che sono anche editori musicali, passano in rotazione solo chi concede loro una fetta di edizioni. È ancora musica, questa, o solo business?

E allora viene da chiedersi: tornerà mai un’Arcadia? Un luogo in cui la musica possa esistere per il piacere di essere ascoltata, e non solo per generare numeri e profitti? Forse è un’utopia, ma una cosa è certa: Sanremo 2025 non ha dato nessuna risposta, anzi, ha confermato che la musica italiana è sempre più ostaggio delle major.

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