Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Il Veleno delle Note: come l’Invidia ha segnato la Storia della Musica

Immaginate una melodia perfetta, un riff che spacca l’anima, un talento che illumina il buio. Ora immaginate che tutto questo venga soffocato non da un fallimento, ma da un’ombra silenziosa: l’invidia. Io, Seba Barbagallo, musicista e osservatore di questo strano mondo fatto di corde e pentagrammi, vi porto dentro un viaggio che non troverete nei manuali di storia della musica. Perché l’invidia non è solo un sentimento: è una forza che ha plasmato carriere, distrutto vite e, a volte, scritto pagine di genio inaspettato. Ma a che prezzo?

Un Peccato Antico Quanto la Musica Stessa.
L’invidia non è nata con l’ultimo dissing su Instagram o con i commenti acidi sotto un video YouTube. È vecchia quanto le prime note suonate dall’uomo. Pensate a Wolfgang Amadeus Mozart e Antonio Salieri: la leggenda vuole che Salieri, divorato dall’invidia per il genio di Mozart, lo abbia addirittura avvelenato. Non è vero – gli storici lo smentiscono – ma il film Amadeus di Miloš Forman ha cristallizzato questa storia nell’immaginario collettivo. Eppure, qualcosa di reale c’era: Salieri, pur talentuoso, viveva all’ombra di un Mozart che, a 35 anni, aveva già composto opere immortali come il Don Giovanni. L’invidia non lo uccise fisicamente, ma contribuì a offuscare la sua serenità mentale e a farlo morire in povertà, mentre Salieri, più longevo, si ritirò in un’amarezza che lo consumò fino alla follia.

Andiamo avanti di un secolo. Felix Mendelssohn, enfant prodige del Romanticismo, era invidiato da Hector Berlioz, che lo vedeva come un rivale troppo perfetto. Berlioz, con la sua Sinfonia Fantastica, cercava di stupire, mentre Mendelssohn incantava con una naturalezza che sembrava irraggiungibile. Berlioz scrisse di lui con un misto di ammirazione e livore: “È troppo perfetto, troppo facile”. L’invidia non fermò Mendelssohn, ma alimentò una competizione che lo spinse a lavorare fino allo sfinimento, morendo a soli 38 anni.

Il Secolo del Rock: Invidia a Tutto Volume
Arriviamo al Novecento, quando l’invidia si amplifica con il rock’n’roll. I Beatles e i Rolling Stones: una rivalità mitizzata dai tabloid, ma reale nei cuori. John Lennon una volta disse: “Se non possiamo essere i migliori, almeno siamo i più rumorosi”. Mick Jagger, dal canto suo, guardava ai Beatles con un misto di rispetto e fastidio: loro avevano i numeri uno, lui il carisma. Questa tensione li rese giganti, ma creò anche attriti interni. George Harrison, invidiato da Lennon e McCartney per il suo talento nascosto, si sentì soffocato e lasciò i Beatles per un po’, prima di tornare con Something, un capolavoro che zittì tutti.

E poi c’è il grunge. Kurt Cobain dei Nirvana era invidiato da molti, ma anche lui provava un’invidia corrosiva verso band come i Pearl Jam, che considerava “commerciali”. In una lettera privata, Kurt scrisse: “Eddie Vedder ha tutto quello che io non avrò mai: la pace con se stesso”. Quell’invidia, unita alla pressione e alla depressione, lo consumò fino al tragico epilogo del 1994. Intanto, Billy Corgan degli Smashing Pumpkins guardava ai Nirvana con un rancore malcelato: “Kurt aveva il mondo ai suoi piedi, io dovevo sudare per ogni nota”. L’invidia lo spinse a creare Siamese Dream, un album epico, ma lo alienò dai suoi stessi compagni di band.

Il Rap e il Dissing: Invidia come Arma
Nel mondo del rap, l’invidia è diventata un’arte. Il dissing – lo scontro verbale tra rapper – è spesso figlio di questo sentimento. Pensate a Tupac Shakur e The Notorious B.I.G.: due titani dell’hip-hop, un tempo amici, distrutti da una faida alimentata dall’invidia per il successo reciproco. Tupac accusava Biggie di copiarlo, Biggie rispondeva con frecciate nei testi. Entrambi morirono giovani, nel 1996 e 1997, vittime di una guerra che l’invidia aveva trasformato in piombo. Jay-Z, anni dopo, definì il dissing “un teatro necessario”, ma ammise che dietro c’è sempre un pizzico di verità: l’invidia per chi sale più in alto.

E oggi? I Maneskin, fenomeno globale, sono bersaglio di invidia feroce. Colleghi italiani li accusano di “vendersi” o di essere “solo immagine”. Ma Damiano David, in un’intervista, ha ribattuto: “L’invidia è il rumore di chi non ha il coraggio di provarci”. Eppure, quel rumore può pesare, spingendo artisti a isolarsi o a dubitare di sé.

I Danni collaterali: Vite Spezzate, Carriere Rovinate
L’invidia non colpisce solo chi la prova, ma anche chi la subisce. Pensate a Brian Wilson dei Beach Boys: il suo genio con Pet Sounds scatenò l’invidia di Paul McCartney, che rispose con Sgt. Pepper’s. Una sfida creativa epica, sì, ma Wilson, fragile e insicuro, crollò sotto la pressione, finendo in un vortice di droga e malattia mentale. O prendete Amy Winehouse: il suo talento unico attirò l’invidia di cantanti meno dotate, che la criticavano per il suo stile di vita. Quelle voci la ferirono, amplificando le sue insicurezze fino alla tragica fine nel 2011.

E poi ci sono i casi meno noti. Nick Drake, poeta folk degli anni ’70, era invidiato dai colleghi per la sua purezza artistica. Ma nessuno lo capiva, e l’invidia si trasformò in indifferenza: morì solo, a 26 anni, dimenticato dal mondo che avrebbe dovuto acclamarlo. L’invidia, qui, non ha ucciso con un gesto, ma con il silenzio.

Un Fuoco Che Crea o Distrugge?

L’invidia può essere benzina per il talento. Igor Stravinsky, invidioso della monumentalità di Beethoven, reagì con La Sagra della Primavera, un’opera che ruppe ogni regola. Ma può anche essere veleno. Pensate a Chet Baker, jazzista sublime: l’invidia di un rivale, si dice, portò a un pestaggio che gli distrusse i denti, costringendolo a reimparare a suonare la tromba da zero. Il suo genio sopravvisse, ma il suo corpo e la sua mente no: cadde da una finestra nel 1988, forse per caso, forse no.

E Oggi? Un Mostro Amplificato
Nel 2025, con i social, l’invidia è un mostro a mille teste. Ogni like, ogni view, è un metro di confronto. Artisti emergenti si scontrano con haters che, dietro uno schermo, vomitano livore. Ma il danno vero è interno: musicisti che si paragonano, si sminuiscono, si perdono. Io, Seba , lo vedo ogni giorno: talenti che si spengono non per mancanza di capacità, ma per quel tarlo che sussurra “non sei abbastanza”.

Allora, l’invidia è solo distruzione? Non proprio. È un fuoco che può spingerti oltre, ma se non lo controlli, ti brucia. La storia della musica è piena di queste fiamme: alcune hanno illuminato il mondo, altre lo hanno ridotto in cenere. La prossima volta che sentite una nota perfetta, chiedetevi: dietro c’è genio, fatica… o un’ombra che nessuno confessa?

SEBA BARBAGALLO

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