La più bella lettera finanziaria italiana la scrive un amico, Alessandro Fugnoli, e si chiama – stendhalianamente – “Il rosso e il nero”. Quella di questa settimana ha per titolo “Perestroika: ha ancora senso investire in America?”. È una domanda che tutti ci poniamo, sebbene ormai la correlazione tra mercati sia divenuta così stringente che parlare di un singolo mercato è più che altro un esercizio di stile, quand’anche si parlasse – come è questo il caso – di un mercato continentale.
Scrive Fugnoli che Trump è addirittura «euforizzante per il resto del mondo». Ti dà l’impressione di attaccarti e tu che altro puoi fare se non stringerti a coorte ed esser pronto alla morte? Lui riesce dove la politica nazionale fallisce: a far reagire convinte e compatte nazioni intere.
È stata l’aggressività verso la Cina del Trump del primo mandato a spingere il paese di Confucio verso la piena autosufficienza economica, ed è esattamente per questa ragione che oggi i dazi stellestrisce vanno considerati sotto questo punto di vista.
È dal 2018, da quando Trump cercò di limitare le vendite globali di aziende cinesi ad alta tecnologia come Huawei e ZTE, con la spiegazione che questo avrebbe rappresentato una minaccia per la sicurezza nazionale Usa, che il presidente Xi Jinping conduce la nazione verso la “ziligengsheng” o “autosufficienza autarchica”. E infatti sono i controdazi cinesi a far male. Un anno fa un uovo costava 25 centesimi, ora più del doppio e se la gallina è ruspante si arriva al dollaro. Ogni americano ne consuma 272 all’anno. Solo per la Pasqua ne occorreranno 210 milioni.
«Ok, ma il mercato azionario USA oggi è da comprare?», potrebbero chiedermi i più scalpitanti tra voi. Ma certo, è la mia risposta. Negli ultimi anni lo Standard & Poor 500, l’indice che segue l’andamento delle 500 aziende più capitalizzate d’America, ha reso il 220%, con un rendimento annuo del 12,3%: non male no?
«Sì, ma i venti di guerra che paiono soffiare ogni giorno più forte non rappresentano un pericolo?».
«No», risponderei a questa domanda, «niente affatto». Le guerre hanno sempre fatto un gran bene alle economie e alle borse. Non al capitale umano, certo, ma a quello finanziario sì. Do solo un dato: tra 1939 e il 1943 il Pil americano aumentò del 114%.
Martedì 11 settembre 2001 Morgan Stanley rilasciò questo report: «Che cosa può ridurre drasticamente il deficit delle partite correnti americane, e per questa via eliminare i rischi più significativi per l’economia degli Stati Uniti e per il dollaro? La risposta è: un atto di guerra.»
Edoardo Varini