Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Qualcuno ha spento le Luci a San Siro

Sia chiaro sin da subito.

Ho la massima stima di Roberto Vecchioni e non posso parlarne male.

Ammetto di aver cantato Samarcanda, il cui testo sottende temi filosofici ed escatologici sui quali si può scrivere a lungo e dei quali hanno scritto le menti più acute di ogni cultura e di ogni nazione. Ammetto di essermi emozionato ascoltando Sogna ragazzo sogna, e via dicendo.

Tutti noi poi, almeno una volta, ascoltando Luci a San Siro, siamo tornati alla nostra adolescenza, ai primi amori, alle prime esperienze di quella meravigliosa fase della vita in cui si vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, nell’effimero convincimento che si vivrà in eterno.

Proprio per la stima che nutro per lui, confesso che mi sono dovuto dare i pizzicotti per essere certo che quello a cui stavo assistendo fosse o non fosse un brutto sogno.

Era davvero quello sullo schermo l’uomo, l’artista, sempre attivo per le battaglie sociali, alfiere delle libertà e dei diritti, che ha sempre manifestato per la pace nel mondo? L’uomo che nel 2014 lesse l’”Ode alla Pace” di Neruda?

Forse che fosse una creazione della IA?

Era davvero lui l’uomo che parlava di una sorta di supremazia della cultura europea su tutte le altre culture? Non poteva esserlo, non poteva essere lui davvero quel Vecchioni padre di quella Francesca che diceva (giustamente) “La diversità genera la varietà del mondo, senza non avremmo evoluzione”.

Non poteva essere lui quello che da un palco di una meravigliosa piazza romana elevava a sistema il principio del marchese Onofrio del Grillo declinandolo nella forma plurale “noi siamo noi e voi nun siete…”.

Proprio perché lo stimo non posso non fare una disamina critica di quello che ha detto nel suo intervento in piazza del Popolo.

–          “Siamo tutti indoeuropei”: qui soccorre la Treccani. Quando si parla di indoeuropeo si fa riferimento semplicemente a un concetto linguistico. Non è mai esistita una razza o una stirpe indoeuropea. Si aggiunga che (e qui cito pari pari) ci sono “…nella letteratura scientifica altre denominazioni tra cui le più usate sono: indogermanico, ariano e arioeuropeo.” (“INDOEUROPEI di Giuseppe CIARDI-DUPRE’ – Gioacchino SERA – Enciclopedia Italiana – 1933”). E sfido chiunque sia nato quando in Italia “c’era la lira” a non associare alla parola “ariano” l’immagine di schiere di giovani aitanti a torso nudo che marciano nelle campagne cantando l’“Horst Wessel Lied”.

–          Siamo popoli che “…vengono dalle stesse cose, tradizioni….abbiamo gli stessi pensieri…”. A parte che non si comprende a chi si stia riferendo, ma ipotizzando che faccia riferimento ai cittadini europei (intendendo ovviamente per tali solo coloro che sono in quella realtà giuridica che è l’Unione Europea, e comunque trascurando il fatto che qualche decennio fa nessuno avrebbe considerato europeo un cittadino lettone o estone), è facile replicare che le richiamate condivisioni di pensieri e tradizioni non ci hanno impedito di prenderci a cannonate e farci guerre per millenni (basti solo pensare alla recente storia del secondo conflitto mondiale).

–          “…abbiamo la democrazia…”, per ora, ma non è forse vero che la democrazia è un sistema di equilibri delicatissimo, che si basa su un rapporto di pesi e contrappesi, mai certo e immutabile nel tempo bensì costantemente sotto attacco da questo o quell’altro potere? Anche qui e anche in Europa (basti guardare alle recenti vicende elettorali in Romania)?

–          “…La democrazia è un’invenzione dei Greci…” ma era, quella dei greci, una democrazia? Può essere chiamato democratico un sistema in cui solo i cittadini ateniesi di sesso maschile che avevano completato il servizio militare potevano esprimere il voto? Con esclusione di tutti gli altri?

Vecchioni poi invitava il pubblico a chiudere gli occhi pensando a “…Socrate, Spinoza, Cartesio, Marx, Shakespeare, Cervantes, Pirandello, Manzoni, Leopardi…” ponendo , con riferimento a queste figure eccellenti, la seguente domanda: “…ma gli altri le hanno?”.

Certamente a Vecchioni piace vincere facile, dal momento che ha fatto i nomi di alcuni fra i più eccellenti pensatori della storia dell’umanità tutta, ma se noi andiamo a calare tali illustri nomi nelle loro realtà nazionali di cosa possiamo agevolmente renderci conto? Presto detto.

–          Socrate, maestro indiscusso del pensiero libero, padre della filosofia, giusto fra i giusti, fu ucciso proprio da quella democrazia tanto lodata in Piazza del Popolo.

–          Il raffinato pensiero di Spinoza non ha impedito alla politica coloniale dei Paesi Bassi di trarre in schiavitù centinaia di migliaia di persone, tant’è che lo stesso Mark Rutte ha formalmente chiesto scusa ai discendenti degli schiavi africani e asiatici a nome dello stato.

–          Lo stesso dicasi per Shakespeare, la cui meravigliosa produzione letteraria non ha fermato le nefandezze del popolo britannico (giusto di recente il Regno Unito ha rilasciato una storica dichiarazione di rammarico per le “torture e altre forme di maltrattamenti” avvenuti in epoca coloniale nel Kenya, e stiamo parlando non di vicende perdute nella notte dei tempi, ma di qualche decennio fa).

–          Per tacer di Cervantes, il cui apporto culturale non ha impedito l’insediamento della dittatura del Caudillo (limitandoci alla storia recente).

–          Se poi parliamo di Marx, posto, a ragione o torto, a fondamento filosofico dell’altra metà dei totalitarismi – quella di sinistra – cosa possiamo dire? Non sembra necessario andare oltre.

–          Kant e gli altri eccellenti filosofi tedeschi hanno forse impedito che in Germania venisse generato il parto politico di un folle che ha gettato l’Europa intera nella barbarie pochissimi anni fa e di cui abbiamo ancora i testimoni oculari? Vecchioni poi certamente conoscerà il nome di Martin Heidegger, massimo esponente dell’esistenzialismo, e dell’ontologismo fenomenologico, la cui profondità di pensiero e grandezza intellettuale non gli impedì di concludere il proprio discorso agli studenti tedeschi, tenuto il 3 novembre 1933, con il saluto Heil Hitler.

–          E che dire dell’Italia? Il Fascismo, considerato e sbandierato come il pericolo per tutte le democrazie, è nato qui, in Italia, malgrado il fatto che la nostra meravigliosa terra abbia dato i natali ai più grandi artisti, pittori, letterati e musicisti che la storia possa ricordare.

Ma una domanda continua a frullarmi per la testa: chi sono gli altri?

Sono forse i russi? Perché se Vecchioni si sta riferendo ai russi viene spontaneo replicare che anche i russi sono indoeuropei.

“…gli altri le hanno?

Se gli altri sono i russi, mi tornano alla mente Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj, Čechov, Majakovskij, Esenin, e poi, dal momento che Vecchioni è un artista e un musicista, come può trascurare Čajkovskij, Mussorsgky, Rimsky Korsakov, Prokofiev, Stravinsky? E la lista potrebbe continuare a lungo.

Ma poi, chi sono gli altri: forse che Averroè, Avicenna, Siddhartha, Gandhi, Ramanujan, non sono vette eccelse del genere umano?

è qui che il percorso logico seguito da Vecchioni nel suo intervento rivela il proprio limite, un limite il cui superamento rende il suo discorso finanche pericoloso.

La madre di tutti gli errori, l’origine di ogni male, risiede nella definizione “gli altri”.

È lì che si manifesta la diade, l’inizio dell’imperfezione, l’inizio della degenerazione.

Si finisce con il distinguere un “noi” da un “loro”. Noi siamo diversi, abbiamo i grandi pensatori, noi siamo superiori, loro sono inferiori e via dicendo.

Non può esserci un noi (portatori di cultura e democrazia a prescindere) e un loro che, al contrario, vivono nella (e sono portatori di) barbarie.

Vero è che sono esistiti ed esistono uomini (e donne), in tutti i tempi e in tutte le culture, che hanno fatto grande il genere umano, e altri uomini (e governi) che hanno gettato l’umanità in un girone dantesco.

Quindi non c’è un noi e un loro. Non si può semplificare in modo così grossolano la complessità del reale.

Nessun popolo può ritenersi indenne dal dover fare i conti con il proprio passato e ogni civiltà deve prendere atto del fatto che le luci accese nella storia dai grandi uomini e grandi donne sono state  celermente oscurate dalle tenebre generate dal delirio di folli.

Ci sono uomini e belve che restano tali anche se hanno sembianze umane. In ogni tempo e in ogni luogo.

Preso atto di questa realtà, sarebbe più opportuno e utile che un intellettuale di pregio, invece di far discorsi che inevitabilmente possono alimentare istinti bellicosi partendo da una semplicistica e grossolana distinzione fra noi e loro, cercasse di attuare l’ideale espresso proprio nell’inno europeo, l’ode An die Freude di Schiller musicata da quel gigante della cultura mondiale che era Beethoven, che era quello di realizzare un’umanità legata da vincoli di amicizia universale.

Prendiamo esempio da un altro gigante della musica e della cultura, nostro eccellente concittadino, il maestro Riccardo Muti, che in mondovisione da Vienna ha concluso  il Concerto di Capodanno dicendo: “nella mia lingua auguro tre cose: pace, fratellanza e amore in tutto il mondo“.

In tutto il mondo, per tutti.

Io non voglio che il sangue torni a inzuppare il pane, i legumi, la musica….” e poi, ci sia “…pace per tutti i vivi…” . Lo ha scritto Neruda. L’ha detto Vecchioni nel 2014.

Mi auguro che torni a dirlo di nuovo e che si riaccendano le “Luci a San Siro”.

Massimo Bernuzzi

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