I viaggi nel tempo mi hanno sempre affascinato. Da bambino, leggevo i fumetti di Superman, che allora si chiamava Nembo Kid: la sua ultra-velocità gli permetteva di raggiungere le “onde del tempo”, che si allontanavano come cerchi concentrici dalla sfera terrestre, e visitare così il passato. Più tardi, una lieve modifica trasformò le sfere del passato che si disperdevano nei remoti spazi siderali in semi-onde: da una parte, venendo dal futuro, raggiungevano la Terra e dall’altra se ne allontanavano. In questo modo, Nembo Kid poteva, scegliendo l’una o l’altra direzione, esplorare tanto il passato quanto il futuro.
Anche altri fumetti affrontavano la medesima questione: Bat Star e la Cronosfera, un gigantesco apparecchio dalla forma di una mongolfiera con linee Art Déco che si muoveva nel tempo e nello spazio… E poi, naturalmente, il romanzo La Macchina del Tempo di Wells, che purtroppo lessi in versione ridotta per ragazzi, ma non mancò comunque di lasciarmi a bocca aperta.
Sarebbe stato magnifico poter viaggiare nel tempo, incontrare di persona Ettore e Achille, oppure assistere alle vicende della guerra di Troia, quelle vere, autentiche, non attraverso gli occhi del cieco Omero ma su uno schermo televisivo: la televisione non mente, si sa!
Immaginate, quindi, il mio stupore quando lessi sulla Domenica Del Corriere n. 18 del 2 maggio 1972 che un sacerdote aveva realizzato l’apparecchio dei miei sogni… o quasi! Padre Pellegrino Maria Ernetti, monaco benedettino, aveva “inventato la macchina che fotografa il passato”. Così esordiva l’articolo di ben quattro pagine: «Un mese fa, una persona della quale non posso fare il nome, e che chiamerò signor X, mi dice che padre Pellegrino Ernetti (…) assieme a un gruppo di dodici fisici è riuscito a costruire un complesso apparecchio di altissima precisione che consente di ricostruire immagini, suoni, avvenimenti accaduti centinaia e centinaia di anni or sono».
Il clou dell’articolo era la fotografia, fornita da mister X, del volto di Cristo morente sulla croce. Veniva persino descritto il meccanismo che rendeva possibile il funzionamento della macchina, con tanto di schema. Il principio fondamentale dell’apparecchio non era molto diverso da quello grazie al quale Nembo Kid viaggiava nel tempo: «si basa sul principio di fisica, accettato da tutti, secondo il quale le onde sonore e visive, una volta emesse, non si distruggono, ma si trasformano e restano eterne ed onnipresenti, quindi possono essere ricostruite come ogni energia, in quanto esse stesse sono energia».
Il CICAP si è occupato della questione, tentando di spiegarla o confutarla in base alle conoscenze scientifiche attuali. Il che è senz’altro un’iniziativa valida, purché si tenga presente che tali conoscenze scientifiche in questione sono appunto quelle attuali: la scienza è in continua evoluzione e ciò che un tempo risultava inspiegabile può essere chiarito oggi, così come ciò che oggi riteniamo impossibile potrebbe, un domani, rivelarsi vero e possibile.
Ma ciò che, con “evidenza eclatante”, portò molti a credere che tutta la storia fosse un falso o una burla ben congegnata fu proprio la fotografia del volto di Cristo, ripresa dal vivo con il Cronovisore. Un lettore del Giornale Dei Misteri n. 17 scrisse alla rivista: «Trattasi di una mistificazione alle spese dei lettori che non hanno avuto l’occasione di visitare il Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza (Todi). Il volto, bellissimo, è infatti quello del crocifisso ligneo, opera dell’artista Cullot Valera, venerato in quel santuario. Invio l’immagine ricordo acquistata presso il santuario, affinché possiate rendervi conto della mistificazione e pubblicarla sulla vostra rivista».
La somiglianza tra i due volti è davvero palese ed evidente. Ma cosa accadrebbe se provassimo a considerare la questione da una prospettiva più ampia e affascinante?
E se questa somiglianza non fosse una prova del falso, ma un indizio di qualcosa di molto più complesso? L’artista Lorenzo Cullot, nell’atto di scolpire quel volto struggente, potrebbe aver attinto inconsapevolmente a un piano di realtà diverso: quello della Cronaca dell’Akasha.
Secondo antiche tradizioni spirituali, questa sorta di archivio cosmico conterrebbe l’impronta indelebile di ogni evento, emozione e pensiero mai avvenuto. Potrebbe un artista particolarmente sensibile aver colto, attraverso un’intuizione profonda o un’inconsapevole connessione con l’Akasha, lo stesso istante della Passione di Cristo che sarebbe stato registrato dal misterioso apparecchio di padre Ernetti?
Se davvero il Cronovisore fosse riuscito a intercettare un frammento di questa memoria universale, allora anche l’artista Cullot, nella sua ispirazione creativa, potrebbe aver attinto a quella stessa fonte. Il crocifisso ligneo non sarebbe dunque una semplice creazione artistica, ma una visione intuitiva di un momento cruciale, sospeso tra il tempo e l’eternità.
Questa ipotesi, per quanto speculativa, spalanca uno scenario affascinante: e se l’arte, nelle sue espressioni più elevate, fosse anch’essa un modo per accedere a dimensioni di realtà invisibili, frammenti di verità eterna che risuonano attraverso il tempo? Forse il vero mistero non risiede tanto nella costruzione del Cronovisore, quanto nel potere della mente umana di connettersi con qualcosa che va oltre i limiti del conosciuto.
E allora viene da chiedersi: quando un artista si lascia ispirare da una visione interiore, è davvero solo il frutto della sua immaginazione? O forse, in quei rari momenti di sublime creatività, si apre per un istante una finestra su qualcosa di più grande, che attende solo di essere scoperto?
Luigi Eugenio Milani