Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Green Deal europeo: quando l’ideologia prevale sulla realtà

Negli ultimi anni, la politica ambientale dell’Unione Europea è stata dominata dal Green Deal, un piano ambizioso volto a trasformare l’Europa nel primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Un obiettivo nobile, certo, ma sempre più spesso la sua attuazione sembra guidata più dall’ideologia che da una concreta valutazione delle implicazioni economiche, sociali e industriali.

Il problema principale del Green Deal non è la sua finalità – nessuno nega la necessità di ridurre l’impatto ambientale e investire in energie rinnovabili – ma il modo in cui viene portato avanti: con rigidità dogmatica, senza un vero confronto con la realtà produttiva europea e con scelte che rischiano di penalizzare cittadini e imprese senza garantire risultati concreti.

Il peso sulle imprese e sull’industria

Uno degli aspetti più critici del Green Deal è il suo impatto sull’industria manifatturiera, soprattutto quella pesante e automobilistica, settori chiave per l’economia europea. Il divieto di vendere auto a benzina e diesel dal 2035, ad esempio, è stato imposto con una velocità che non tiene conto della reale capacità del mercato e delle infrastrutture di supportare una transizione esclusivamente elettrica. Mentre le case automobilistiche europee lottano per adeguarsi, la concorrenza cinese si affaccia con modelli elettrici a basso costo, favoriti da politiche meno restrittive e da forti sussidi statali.

Allo stesso tempo, l’industria siderurgica, chimica e cementiera è costretta a investire massicciamente in tecnologie ancora in fase sperimentale per abbattere le emissioni, con costi enormi che rischiano di portare alla delocalizzazione della produzione fuori dall’UE. Un paradosso: trasferire la produzione in Paesi con standard ambientali inferiori non farà altro che aumentare le emissioni globali, annullando gli sforzi compiuti in Europa.

Un impatto sociale sottovalutato

La transizione verde imposta da Bruxelles ha anche un impatto sociale che non può essere ignorato. L’aumento dei costi energetici legato alla decarbonizzazione sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese, con il rischio di alimentare nuove disuguaglianze. Il principio secondo cui “chi inquina paga” si traduce spesso in una tassa occulta sui consumatori, mentre i Paesi più dipendenti dai combustibili fossili – come Polonia e Germania – si trovano in una posizione di svantaggio rispetto a quelli con una maggiore quota di rinnovabili.

L’agricoltura, altro settore cruciale, è sotto attacco con regolamentazioni sempre più stringenti che rischiano di ridurre la produttività e aumentare i costi per gli agricoltori europei, già in difficoltà per la concorrenza internazionale e le crisi geopolitiche. Le proteste degli agricoltori in diversi Paesi dell’UE sono il segnale di un malcontento diffuso, che Bruxelles non può continuare a ignorare.

L’Europa isolata mentre il mondo va avanti

Forse l’aspetto più preoccupante del Green Deal è l’isolamento in cui sta spingendo l’Europa. Mentre l’UE impone a se stessa standard ambientali sempre più stringenti, altre potenze globali come Stati Uniti, Cina e India procedono con una transizione più graduale, mantenendo margini di flessibilità per proteggere la loro competitività economica.

Il risultato è che l’Europa rischia di perdere terreno nella corsa globale, mentre le sue imprese devono affrontare costi proibitivi e una burocrazia sempre più soffocante. Il recente rallentamento dell’economia tedesca, storicamente trainante per l’UE, è un campanello d’allarme: politiche troppo rigide potrebbero trasformare il Green Deal in un boomerang, danneggiando l’Europa più di quanto la aiutino.

Serve una transizione sostenibile, non ideologica

La lotta al cambiamento climatico è una sfida reale e urgente, ma non può essere affrontata con una politica scollegata dalla realtà economica e industriale. L’Europa ha bisogno di una transizione sostenibile, basata sull’innovazione tecnologica, su incentivi realistici e su un dialogo costruttivo con il mondo produttivo.

L’approccio attuale, invece, rischia di trasformare il Green Deal in un dogma, più attento agli slogan che agli effetti concreti. Serve pragmatismo, non ideologia. L’Europa può e deve guidare la transizione ecologica, ma senza sacrificare la sua competitività e il benessere dei suoi cittadini sull’altare di una visione troppo radicale.

Beppe Spatola

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