Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

25 aprile, tra Liberazione e San Marco: un giorno per ridare senso alla libertà

Nel calendario civile e liturgico, il 25 aprile si presenta come un crocevia di memoria e di simboli. È la festa della Liberazione, giorno in cui l’Italia ricorda la fine dell’occupazione nazifascista e il risveglio di un popolo alla democrazia. Ma è anche la festa di San Marco Evangelista, figura di parola e di annuncio, patrono di Venezia e testimone di una fede che attraversa i secoli. Due ricorrenze, apparentemente lontane, che in realtà offrono un’opportunità preziosa: ridare al concetto di libertà un respiro profondo, spirituale e universale, che vada oltre il conflitto ideologico tra fascisti e partigiani.

È tempo di riconsegnare il 25 aprile al suo significato più alto, scrollandolo dalla polvere delle contrapposizioni stanche e dalle celebrazioni retoriche. Perché la libertà non può restare confinata nella cronaca di un tempo passato, né ridursi a bandiera di parte. La libertà, oggi più che mai, reclama senso, profondità, attualità. È un bene fragile, vivo, che si nutre di memoria ma si costruisce ogni giorno, nel presente.

In questo senso, San Marco può diventare una figura chiave. Non un semplice patrono cittadino, ma simbolo di una parola che libera, di un annuncio che rompe le catene dell’ignoranza, della paura, dell’odio. Il suo Vangelo è un grido essenziale, diretto, spesso inquieto, che invita all’azione, alla responsabilità, alla testimonianza. Il suo leone alato non è solo emblema di potere, ma immagine di coraggio e vigilanza. In un mondo dove la verità è spesso manipolata, e la parola svenduta, l’evangelista ci ricorda che la libertà autentica nasce sempre da una parola vera.

Ecco allora che il 25 aprile potrebbe trasformarsi in qualcosa di più: una giornata non solo di memoria, ma di consapevolezza. Non solo di commemorazione, ma di annuncio. Una sorta di Pasqua civile e spirituale, in cui la Resistenza non sia solo l’atto eroico di ieri, ma la postura morale di oggi. Resistere al cinismo, alla corruzione del linguaggio, all’indifferenza. Resistere alla tentazione di rifugiarsi nel passato senza impegnarsi nel futuro.

In questo giorno, l’Italia non celebra solo una vittoria militare o politica. Celebra un’anima. Celebra l’idea che la dignità dell’uomo, la sua libertà, il suo diritto a pensare e credere, a cercare la verità e a costruire il bene, non siano concessioni, ma vocazioni. Celebra il fatto che la libertà, come ci ha insegnato anche San Marco con il suo Vangelo incalzante, è sempre una chiamata: a mettersi in cammino, a cambiare, a donarsi.

Oggi, in un tempo segnato da nuove paure, da guerre ai confini dell’Europa, da venti di intolleranza e da crisi morali, il 25 aprile ci chiede di andare oltre la celebrazione. Ci chiede di guardare avanti. Di far rivivere quella “liberazione” nella lotta contro l’ingiustizia sociale, nella difesa dell’ambiente, nell’impegno per la pace, nella tutela delle libertà fondamentali.

E allora, tra il canto del partigiano e la voce dell’evangelista, tra il rosso della bandiera e l’oro del mosaico marciano, forse possiamo trovare un ponte. Un modo nuovo per onorare la libertà: non più solo come conquista da difendere, ma come seme da coltivare. Con coraggio, con vigilanza, con amore.

Perché la vera Liberazione, oggi, passa dalla responsabilità di ciascuno. E la parola di San Marco continua a risuonare come monito e promessa: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri». Raddrizzare i sentieri della storia, della coscienza, della politica. E ripartire da lì. Insieme. Liberi, davvero.

Beppe Spatola

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