Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

IL CANTICO DELLE CREATURE di San Francesco D’Assisi (Un viaggio esoterico tra le parole di un umile)

“Se le virtù sono innate e i vizi, come fardelli,
si prendono durante il cammino,
solo una è la virtù fondamentale per crescita dell’uomo:
l’umiltà”.


Il Cantico delle Creature, scritto da Francesco d’Assisi negli ultimi anni della sua vita, è il primo
componimento poetico italiano scritto in lingua volgare. Se questo è indubbiamente un fattore
di enorme pregio storico, la grandezza e la straordinaria forza di quest’opera si esprimono altresì
su piani di linguaggio che vanno ben oltre il primo significato letterario. Si concentrano in esso,
non a caso, come in un perfetto e melodioso compendio, tutti quei princìpi ed elementi che
durante il nostro viaggio, attraverso le parole di Francesco, abbiamo provato a riscoprire. La
Semplicità, innanzitutto. Francesco viveva in un’epoca in cui la guerra era una presenza costante
nella vita di tutti e, nonostante questo (o forse proprio per questo), ha trasposto in un linguaggio
apparentemente semplicissimo e nitido un grande messaggio di pace tra gli uomini e di
comunione con la natura. Ovvio che, penetrando nelle parole del Cantico con lo sguardo
indagatore dell’esoterista, si possono scoprire significati ben più profondi, sia di natura mistica
che teologica e, non troppo sorprendentemente, persino di natura alchemica. Non vi è alcun
dubbio che il Cantico delle Creature possa essere considerato alla stregua del vero testamento
sapienziale del Serafico Padre. Ogni singolo verso sembra aprire un mondo sterminato nel quale
è assai facile smarrirsi. L’orizzonte è il cosmo, al quale Francesco, con sapienza antica, si prefigge
di dare un ordine, un ordine molto diverso da quello che i profani dell’Arte possono essere
indotti a concepire. Fra gli astri menzionati nel Cantico si annidano indubbi significati nascosti,
legati al Papato (il Sole) e all’Impero (la Luna). Con un linguaggio ispirato all’amor cortese, “il
poverello” omaggia Santa Chiara e, al contempo, esalta la componente femminile del divino,
incastonandola armoniosamente con il principio attivo, il principio virile. Poi c’è l’alchimia, l’Arte
Regia che consente di guardare al mondo di sopra come a un tutt’uno col mondo di sotto, al
fine di ritrovare la via alchemica per ricreare la perduta armonia, il rapporto di equilibrio tra ciò
che sta in alto e ciò che sta in basso, per fare il miracolo della cosa unica, per far funzionare
meglio il corpo in sintonia con lo spirito. Sicuramente non è un caso che molti dei grandi
alchimisti medievali fossero proprio francescani, come non è un caso che Frate Elia, uno dei frati
più vicini a Francesco, fosse egli stesso un noto alchimista dell’epoca. Che sia a causa dell’eresia
strisciante celata nel Cantico che il componimento stesso e tutta la biografia di Francesco
abbiano subito incredibili censure e manipolazioni? Per molto tempo il Cantico è stato
condannato all’oblio, ciononostante, grazie ad alcuni eminenti letterati del romanticismo
tedesco, nei primi decenni del XIX secolo si riaccese un ritrovato interesse internazionale per
Francesco d’Assisi. Il Cantico delle Creature tornò a vivere e a cantare la sua lode, in tutte le
lingue del mondo.

 

«La creazione è un libro:
chi in sapienza lo legge
Vi trova perfettamente rivelato il Creatore».
Angelus Silesius


“Creatura”: con un’unica parola Francesco esprime in sostanza tutto lo spirito del primo capitolo
della Genesi. Nell’azione stessa del “creare” si sottintende la presenza di un Creatore. La potenza
di questa parola è tanto presente a Francesco da meritarsi il titolo dell’opera e da rimanere un
concetto centrale del suo pensiero. Anche sui ruoli delle creature, però, occorre fare qualche
considerazione. Innanzitutto, va ricordato che all’epoca di Francesco il pensiero prevalente era
del tutto antropocentrico, con una netta preminenza dell’Uomo rispetto a qualunque altro
essere vivente. Sebbene Francesco sia comunque figlio di questa cultura e di questo pensiero,
non si nega di sottolineare come certe creature sappiano, a modo proprio, lodare e servire il
Signore in modo più attento, lineare e concreto di quanto non faccia l’uomo. Si tratta di una
riflessione la cui portata è davvero straordinaria. In quegli anni le nascenti università europee
erano scosse da annosi dibattiti che vertevano intorno al modello tolemaico e all’esigenza di
adattarlo ai contenuti delle Sacre Scritture. La concezione più diffusa era quella di matrice
aristotelica, composta da un universo diviso fra un mondo cosiddetto “sublunare”, che
contempla i quattro elementi, separato da un mondo celeste dove invece è presente l’Etere,
ovvero la “Quintessenza”. Al contrario, la concezione biblica prevedeva la presenza di acque
sopracelesti. Francesco, miscelando ad Arte parole e numeri, mettendo insieme la tradizione
classica con quella biblica, con una inedita capacità di sintesi propone un pensiero innovativo,
un ordine cosmico del tutto nuovo: sole, luna, stelle, vento, acqua, fuoco e infine terra. Il mondo
celeste e il mondo sublunare non sono più separati, ma tutto scorre in un’armonica soluzione di
continuità. La dualità cielo-terra sembra non esistere più, ma esiste il Creato in un Unicum
indivisibile. Il Cantico introduce un concetto filosofico molto sottile, legato alle cosiddette
“differenze armoniche”. La lode che Francesco vuole innalzare al Signore è dunque un canto
totalizzante, un afflato mistico afferente ad ogni singolo atomo della creazione. L’unica
distinzione ipotizzata dal Cantico è quella espressa nei numeri. La numerologia, che oggi suscita
tanto interesse, era uno degli elementi cardine degli studi alchemici e cabalistici del tredicesimo
secolo. Quando scrive del cielo Francesco utilizza il numero 3. Infatti, tre sono gli elementi celesti
descritti (sole, luna e stelle) e tre sono gli attributi impiegati (“clarite”, “preziose”, “belle” per le
stelle; “bellu”, “radiante”, “cum grande splendore per il sole”, oppure “iorno, et allumini noi per
lui”, “Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore da te, Altissimo, porta significatione”). Per
la terra invece utilizza il numero 4: quattro sono gli elementi, le radici alchemiche di tutte le cose
esistenti, ciascuno dei quali è descritto con 4 attributi. Se il numero 3 è il numero della perfezione,
che Francesco riserva al cielo, 4 è il numero che descrive la materia. Sommati, il numero 3 e il
numero 4 formano il numero 7 che, guarda il caso, indica la completezza cosmica, la perfezione,
il tutto che contiene in sé i segreti indicibili della natura, della materia e dell’universo sterminato,
nonché la realizzazione della Grande Opera alchemica. Nell’elencare le creature Francesco parte
dalla stella più lontana, per le concezioni antiche, o forse da quella più luminosa, per poi
avvicinarsi alla terra. Abbassati gli occhi dall’infinito dei cieli si precipita sulla terra o almeno
intorno a essa, dove iniziano a mostrarsi in ordine i quattro elementi sublunari: aria, acqua, fuoco
e terra. Infatti, nell’elencazione dei quattro elementi del mondo sublunare che pure non viene
separato dal cielo, Francesco non usa l’ordine aristotelico ma sceglie di elencarli dall’alto verso

il basso: il vento e le nuvole, l’acqua, che cade dal cielo, il fuoco e infine la terra. Il punto di arrivo
di queste percorso è dunque la terra, e di conseguenza l’uomo. L’opera in questione riconduce
ogni creatura all’uomo: il sole illumina gli umani (“allumini noi per lui”); il vento e le condizioni
atmosferiche sostengono le creature (“per lo quale a le tue creature dài sustentamento”); l’acqua
è esplicitamente definita “utile”; il fuoco rende le notti meno buie agli umani (“per lo quale
ennallumini la nocte”); infine la terra nutre e governa gli uomini (“la quale ne sustenta et
governa”). Tutte queste speculazioni conducono inevitabilmente alle discipline ermetico
alchemiche che, come menzionato in precedenza, erano notoriamente praticate da una ristretta
cerchia di Frati Minori. L’interesse per l’alchimia, grazie soprattutto alle indubbie conoscenze
esoteriche di Frate Elia, ministro per l’Ordine della Provincia di Siria, vicario generale dei
Francescani nel 1221, secondo ministro generale dell’Ordine fino al 1239, non può non aver
sfiorato lo stesso San Francesco. L’alchimia ha un suo preciso linguaggio e attraverso questa
chiave di lettura possiamo accingerci a svelare il Cantico sotto un’ottica diversa. Chiunque abbia
mai letto testi di alchimia si renderà immediatamente conto che il linguaggio usato sembra
difatti riassumere l’essenza più profonda della scienza di Ermete. 
In questa cornice, la lettura
della “Tabula Smaragdina” attribuita a Ermete Trismegisto, in comparazione col Cantico delle
creature, non può che suscitare una certa impressione:
“Suo padre è il Sole, sua madre la Luna, il
Vento l’ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice”. In un testo alchemico di Fra
Raimondo Gaufredi, ministro generale dell’Ordine, si legge: “Con un testo più breve ho riassunto
per voi l’Opera verissima e comprovata estratta dai segreti nelle operazioni del Sole e della Luna,
richiedendo assolutamente per prima cosa che una tale e così preziosa perla non debba essere
gettata ai cani e ai porci: questo è infatti il segreto dei segreti di tutti i Filosofi, orto delle delizie
e tesoro di ogni profumo, che coloro i quali una volta lo hanno intravisto non necessitano più di
altro”. A questo punto si potrebbe ipotizzare che il Cantico delle Creature, con molta probabilità,
possa essere un testo verosimilmente venato di un linguaggio alchemico sopraffino, un
linguaggio che riassume i codici sapienziali più intimi e più profondi legati alle discipline
ermetiche. In Francesco l’utilizzo della poesia sembra essere uno strumento di lavoro interiore,
che scava e riesce a guarire anche le lacerazioni dell’anima, affinché si possa davvero tendere
alla “perfetta letizia”. Quanto scritto sopra non ha ovviamente la presunzione di essere esaustivo
né di rappresentare la verità assoluta, ma vuole essere il primo passo di un lungo cammino alla
ricerca della conoscenza perché, come disse un vecchio sapiente, “un Maestro può dirti dove
guardare, ma non può dirti cosa vedere”. Dunque, in conclusione, chi era veramente Francesco
d’Assisi? Un uomo, un mistico, un Iniziato alle dottrine alchemiche, un Santo o un uomo politico?
Francesco, nella sua purezza originaria, è stato usato, tradito, illuso, esautorato e infine acclamato
come Santo. Ma cosa rimane della sua visione più primigenia, del suo messaggio esoterico più
recondito, del lontano sogno di Francesco? Il nostro gruppo di lavoro ha condotto una difficile
ricerca sulle vestigia del Francescanesimo più esoterico, cercando di far emergere dall’abisso
della storia i tratti delle linee iniziatiche universali che lo contraddistinguono. Alla luce dei risultati
ottenuti, ci chiediamo sommessamente se non sia doveroso penetrare l’enigma francescano con
gli occhi degli Iniziati ai misteri, cercando di assaporarne i segreti più veri, più profondi, quei
segreti indicibili che si possono svelare solamente se ci spogliamo di tutti i vani orpelli culturali
e ci riappropriamo della perduta, primitiva semplicità di Francesco d’Assisi.


Paolino Messa


Fonti: P. Gambi “Il Cantico delle Creature” di; A. Silesius, Il Pellegrino Cherubico; R. Gaufridi, Trattato del Leone Verde

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