Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

IL Grande Inquisitore e l’Intelligenza artificiale: tra Libertà, Verità e Obbedienza

Invito a un viaggio che intreccia passato e futuro, storia e tecnologia, potere e libertà. Per comprendere appieno questa riflessione, dobbiamo innanzitutto chiarire due concetti fondamentali: la figura del Grande Inquisitore e il fenomeno dell’Intelligenza Artificiale.

Il Grande Inquisitore è un personaggio del romanzo I Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. In questo racconto, Cristo ritorna sulla Terra, ma viene arrestato dall’Inquisizione spagnola. Nella sua cella, un vecchio cardinale, il Grande Inquisitore, gli spiega che la Chiesa ha corretto il suo errore: gli uomini, deboli e smarriti, non vogliono la libertà, ma preferiscono essere guidati da un’autorità che decida per loro. La Chiesa ha così costruito un sistema basato sull’obbedienza e sulla certezza, liberando l’umanità dal peso della scelta e del dubbio. È un monologo potente, in cui il Grande Inquisitore giustifica il potere autoritario come strumento di felicità collettiva, contrapponendosi all’ideale di libertà spirituale offerto da Cristo.

Dall’altra parte, abbiamo l’Intelligenza Artificiale, una delle più straordinarie invenzioni dell’epoca moderna. L’IA è un sistema tecnologico capace di apprendere, analizzare dati, prendere decisioni e persino sostituirsi all’uomo in molte attività. Dalle applicazioni più semplici, come gli assistenti vocali, fino ai complessi algoritmi che governano le nostre vite digitali, l’IA sta rapidamente diventando uno strumento di potere. Ma c’è un rischio: delegando sempre più decisioni a queste macchine, stiamo davvero migliorando la nostra esistenza o stiamo cedendo il nostro libero arbitrio?

Ecco allora la domanda che guida questa riflessione: l’Intelligenza Artificiale è una nuova forma di Grande Inquisitore? Sta davvero semplificando le nostre vite o, al contrario, ci sta privando della nostra libertà di pensiero?

Viviamo un’era in cui la tecnologia sta ridefinendo ogni aspetto della nostra esistenza: dalle nostre scelte quotidiane alle dinamiche sociali, fino alla percezione stessa della realtà. Siamo di fronte a un nuovo potere, capace di modellare il pensiero e dirigere le azioni umane, proprio come fece l’Inquisizione nei secoli passati.

Ciò che ci interroga oggi è il valore della libertà: l’essere umano è davvero pronto a scegliere consapevolmente? Oppure, come sosteneva il Grande Inquisitore, il peso della libertà è troppo grande e gli uomini preferiscono essere guidati, rinunciando alla loro autonomia in cambio di sicurezza e comodità?

Questo mio scritto non intende offrire risposte definitive, ma stimolare un dibattito interiore ed esoterico. Come liberi pensatori, nostro dovere è vigilare affinché la conoscenza non diventi strumento di dominio, ma via per l’elevazione dell’essere umano.

IL GRANDE INQUISITORE: IL POTERE CHE TEME LA LIBERTÀ

Nel celebre capitolo de I Fratelli Karamazov, Ivan Dostoevskij narra la parabola del Grande Inquisitore, un racconto che racchiude in sé una delle più profonde riflessioni sul rapporto tra potere e libertà. Cristo ritorna sulla Terra nella Siviglia del XVI secolo, ma viene immediatamente arrestato dall’Inquisizione. La sua colpa? Aver restituito all’umanità la libertà, un dono troppo gravoso per gli uomini, incapaci di sostenere il peso della scelta.

Il Grande Inquisitore, un vecchio cardinale, si fa portavoce di una visione del mondo in cui la felicità dell’uomo può essere garantita solo attraverso la sua sottomissione. Secondo lui, gli uomini non vogliono essere liberi, ma desiderano essere guidati, rassicurati, nutriti e privati dell’angoscia della scelta. La Chiesa, dice il cardinale, ha corretto l’errore di Cristo: ha costruito un sistema di potere che elimina il fardello della libertà, fornendo regole, dogmi e certezze in cambio della sottomissione.

Questa parabola è un’invettiva potente contro ogni forma di autorità che pretende di agire per il bene dell’umanità mentre, in realtà, ne limita la possibilità di autodeterminazione. Il Grande Inquisitore non è solo una figura del passato, ma un archetipo che si ripresenta in ogni epoca sotto diverse forme. Possiamo rintracciarne l’essenza nelle grandi istituzioni religiose e politiche che hanno imposto dogmi e regole per tenere sotto controllo il libero arbitrio dell’uomo, spesso presentandosi come garanti della sua stessa felicità.

Un esempio storico particolarmente significativo è la distruzione della Biblioteca di Alessandria, un simbolo della lotta tra il sapere e il potere. La sua distruzione, sia per cause accidentali che per precise volontà politiche e religiose, rappresenta il timore che il libero accesso alla conoscenza possa sfuggire al controllo delle autorità.

Lo stesso si può dire della persecuzione dei Catari, perseguitati dalla Santa Inquisizione perché portatori di una verità spirituale non conforme al dogma ufficiale, il cui rifiuto della gerarchia ecclesiastica e la loro visione spirituale alternativa li resero un bersaglio per l’Inquisizione. Lo stesso rischio si pone oggi per chi cerca di difendere la libertà di pensiero in un’epoca sempre più governata da algoritmi e sorveglianza digitale.

La loro storia del resto mostra come il pensiero indipendente e la ricerca di verità alternative siano sempre stati percepiti come minacce da chi detiene il potere.

A proposito della storia dei Catari provate a immaginare come sarebbe cambiata la storia d’Europa, anzi, la storia del mondo, se la Chiesa romana non avesse distrutto i Catari. Forse il catarismo sarebbe divenuto la religione dominante in Francia, in Germania, nella Penisola Iberica, magari pure in Gran Bretagna. Perché faceva così tanta presa? La sua classe sacerdotale non era corrotta. I fedeli avevano un contatto diretto con Gesù Cristo, non mediato da rituali ed edifici ecclesiastici.

Insomma, era una religione umana. Ai fedeli non era consentito neppure uccidere gli animali. Forse se il catarismo avesse rimpiazzato il cattolicesimo romano, non ci sarebbe stato nessun Martin Lutero a schierarsi contro la corruzione della Chiesa; non ci sarebbero state né la Riforma né il Protestantesimo. Le guerre di religione d’Europa non avrebbero mai avuto luogo…ma questa è un’altra storia…

E che dire, a quasi 800 anni dal massacro dei Catari, del grande romanzo 1984 di George Orwell, che offre una prospettiva su questa dinamica, mostrando come il controllo della conoscenza e la manipolazione dell’informazione possano essere strumenti di dominazione? L’inquisitore di Dostoevskij, il Grande Fratello di Orwell e l’IA di oggi condividono il medesimo obiettivo: garantire l’ordine, limitando la libertà di pensiero e la possibilità di deviare dalla narrazione imposta!

Oggi, il ruolo del Grande Inquisitore potrebbe essere incarnato dall’Intelligenza Artificiale e dai sistemi di controllo digitale che, con la promessa di efficienza, sicurezza e comodità, rischiano di privare l’uomo della sua capacità critica e della sua libertà di scelta.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: IL NUOVO GRANDE INQUISITORE?

L’Intelligenza Artificiale rappresenta una delle più grandi rivoluzioni tecnologiche della storia. I suoi potenziali benefici sono innegabili: può migliorare la medicina, ottimizzare le risorse energetiche, prevedere catastrofi naturali e facilitare la comunicazione.

Talvolta l’IA ci viene raccontata come un sogno per cui non dovremo più faticare, talvolta invece come un grande incubo di robot che si rivolteranno contro di noi per annientarci, magari di noia.

L’IA non è di per sé né buona né cattiva, dipende semplicemente dall’uso che se ne fa.

Tuttavia, è la sua diffusione che solleva interrogativi cruciali sul concetto di libertà individuale e di autonomia decisionale.

Proprio come il Grande Inquisitore, l’IA si presenta come un’entità che offre agli uomini un’esistenza più semplice e sicura.

L’IA, difatti, proprio come il Grande Inquisitore, offre un patto silenzioso: solleva l’uomo dal peso della scelta.

Un esempio concreto di questo fenomeno è rappresentato dagli algoritmi che decidono quali contenuti mostrare agli utenti sui social media o sulle piatteforme di informazione. In questo modo, la tecnologia non solo orienta il pensiero collettivo, ma riduce progressivamente la capacità dell’individuo di esplorare e valutare autonomamente informazioni alternative. Allo stesso modo, nei sistemi giudiziari, l’uso di software predittivi per valutare il rischio di recidiva dei detenuti sta trasferendo il potere decisionale da essere umani a macchine, ponendo serie questioni etiche e giuridiche. Insomma, l’uomo, delegando progressivamente le proprie scelte all’IA, non sta forse rinunciando alla sua autonomia e alla capacità di discernere?

Vi sono del resto anche dei riferimenti cinematografici che rafforzano l’idea che ogni epoca ha il proprio Grande Inquisitore. Un esempio emblematico lo si trova in 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, dove l’intelligenza artificiale HAL 9000 assume il ruolo di un’entità onniscente e infallibile, che decide di eliminare l’equipaggio umano per garantire il successo della missione. Anche Blade Runner esplora il tema della libertà individuale e dell’autocoscienza artificiale, mentre Minority report ci pone davanti al dilemma etico della giustizia predittiva.

Il rischio è che, proprio come il Grande Inquisitore, l’IA ci offra una forma di felicità programmata, priva della fatica della scelta e dell’incertezza del dubbio.

Ma a che costo tutto questo? E’ davvero ciò che vogliamo?

IL SILENZIO DI CRISTO E LA NOSTRA SCELTA

Alla fine della parabola, Cristo ascolta il monologo del Grande Inquisitore in silenzio.

Non risponde, non argomenta, non confuta. Rimane immobile, in un atteggiamento che può apparire enigmatico, forse persino remissivo. Ma è davvero solo accettazione passiva? O quel silenzio ha un significato più profondo?

Forse il suo silenzio non è un segno di sottomissione, ma un invito alla riflessione. Potrebbe essere il rifiuto di scendere sullo stesso piano dialettico dell’Inquisitore, il rifiuto di giustificarsi dinanzi a chi ha già deciso cosa sia la verità. In questo silenzio non c’è resa, ma una suprema affermazione di libertà. Cristo non ha bisogno di dimostrare nulla, perché la verità non si impone con la forza delle parole o con l’autorità, ma si rivela a chi è pronto ad accoglierla.

Essa, la verità, deve essere scoperta e scelta dall’individuo, con fatica, con dubbio, con consapevolezza. Cristo non si oppone all’Inquisitore con argomentazioni razionali, non cerca di convincerlo: lascia che sia lui stesso, e chi ascolta, a interrogarsi sul senso di ciò che è stato detto.

Quel silenzio è anche un monito per noi. Nella nostra epoca, dominata da una sovrabbondanza di informazioni e da una crescente dipendenza dalla tecnologia, il pericolo più grande non è solo il controllo esercitato dall’alto, ma l’incapacità dell’individuo di fermarsi, riflettere e scegliere autonomamente. Siamo costantemente bombardati da contenuti, opinioni, suggerimenti algoritmici che ci dicono cosa pensare, cosa leggere, cosa acquistare, chi votare. E in questa cacofonia di stimoli, il rischio è che smettiamo di ascoltare noi stessi.

Cristo, con il suo silenzio, ci indica un’altra via: quella della coscienza, della responsabilità personale, della ricerca interiore. Non c’è libertà senza consapevolezza, e non c’è consapevolezza senza il coraggio di affrontare il dubbio e la complessità della realtà senza risposte preconfezionate.

Oggi siamo dinanzi alla stessa scelta.

Il nostro compito di Uomini è essere i guardiani della libertà, del pensiero critico, della verità conquistata e non imposta. Amore per la conoscenza e difesa del libero pensiero, rappresentano un baluardo contro ogni forma di controllo dogmatico, che sia religioso, politico o tecnologico. Dobbiamo essere i custodi di una società in cui l’uomo resta padrone del proprio destino, senza delegare la sua capacità di discernimento a una macchina o a un’autorità assoluta.

E la libertà, ricordiamolo, non si eredita, né si delega: si esercita, ogni giorno, con coraggio e consapevolezza.

Yuri Lissandrin

 

 

 

 

 

 

 

 

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