Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Maria Pellegrina Amoretti: un orgoglio pavese per tutte le donne

L’8 marzo è il giorno delle donne che non si sono fermate davanti a un “no”, che hanno preso il destino per le corna e lo hanno riscritto. Tra loro svetta Maria Pellegrina Amoretti, la prima donna laureata in Giurisprudenza in Italia, un nome che sembra danzare tra le pagine di un racconto epico. Nel 1777, a Pavia, non ha solo conquistato un titolo: ha aperto una breccia nel muro del pregiudizio, armata solo di libri, intelligenza e un coraggio che ancora oggi ci lascia senza fiato. In questo giorno speciale, celebriamo lei, la ribelle colta che ha fatto tremare un’epoca.

Nata il 12 maggio 1756 a Oneglia, in Liguria, Maria cresce in una casa dove i libri sono più preziosi dell’oro. È una bambina che non gioca con le bambole: a dodici anni declama Omero in greco e Cicerone in latino, lasciando i precettori a bocca aperta. Si racconta che una volta, durante una cena di famiglia, un ospite borioso sfidò la piccola Maria a tradurre un passo di Virgilio. Lei non solo lo fece al volo, ma lo corresse, aggiungendo un sorriso che zittì la stanza. A quindici anni, mentre le sue coetanee sognano il matrimonio, lei discute di filosofia con studiosi barbuti, vincendo ogni duello con la logica e un’ironia sottile.

Il diritto diventa il suo grande amore. Non vuole solo leggerlo, vuole capirlo, piegarlo, usarlo per costruire giustizia. Ma il mondo non è pronto: quando bussa all’Università di Torino, le porte si chiudono con un secco “le donne non studiano legge”. Maria, però, non è tipo da piangere sul latte versato. Si sposta a Pavia, dove l’aria sa di sapere e possibilità. Qui, il 25 giugno 1777, a vent’anni, si laurea in Giurisprudenza, davanti a una folla di nobili, accademici e persino la Granduchessa di Toscana, che le manda un dono prezioso: un ventaglio di pizzo, simbolo di un’eleganza che Maria aveva già dentro di sé. Si dice che durante la discussione della tesi, un professore scettico la interruppe per metterla in difficoltà con una domanda trabocchetto. Lei rispose con una citazione perfetta del diritto romano, aggiungendo: “Se dubitate di me, dubitate anche di Giustiniano”. La sala scoppiò in un applauso.

Non si accontenta del traguardo: scrive Tractatus de jure dotium apud Romanos, un trattato sulle doti nel matrimonio romano, un grido per i diritti delle donne mascherato da analisi giuridica, pubblicato postumo nel 1788 dal cugino Carlo Amoretti. Ma la vita è crudele: Maria muore il 12 novembre 1787, a soli 31 anni, forse esausta da un corpo che non reggeva il fuoco della sua mente. Un aneddoto racconta che, negli ultimi giorni, chiese di essere sepolta con un libro tra le mani: “Non voglio annoiarmi nell’aldilà”, avrebbe detto con un sorriso.

In questo 8 marzo, Maria Pellegrina Amoretti è un faro. Pavia la ricorda con una lapide e i versi di Giuseppe Parini, che la chiama “figlia di Pallade”, dea della sapienza. È stata una cometa: breve, intensa, impossibile da ignorare. Ha dimostrato che una donna con un’idea può cambiare il mondo, una riga alla volta. Brindiamo a lei, che ha preso il “non puoi” e lo ha trasformato in un “guardami farlo”.

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